Le BaccantiLe Baccanti di Euripide


Regia di Maurizio Carlo Luigi Vitale


Rappresentazione di Dramma Antico presentato dalla compagnia teatrale I Policandri.


Trama e note


Dioniso arriva a Tebe per farsi riconoscere come Nume. Il figlio di Zeus è in verità l’affermazione del lato irrazionale dell’uomo, dell’estro e della follia di ogni essere umano. Penteo il re Tebe, non lo riconosce come Nume, perché non vuole accettare il proprio lato irrazionale, l’altra parte di se. Penteo rappresenta le leggi, la morale, il kosmos. Dioniso è l’affermazione del kaos. L’uno non può esistere senza l’altro e ogni uomo li porta in se entrambi. Lo scontro tra kaos e kosmos è la guerra tra Penteo e Dioniso. In realtà Penteo, uomo, porta in se il proprio lato folle, il proprio estro, ma lo teme. Vittima della magia di Dioniso fin dall’arrivo del Nume, Penteo non riesce ad affermare il proprio potere, comprende che la forza non può nulla contro le Baccanti e così accetta di spiarle per poter capire come combatterle. In realtà soggiogato da Dioniso ma al tempo stesso impaurito dal proprio lato irrazionale, cede al piacere di Cipride e del succo dell’uva, solo che lo considera un vizio. Non solo è soggiogato dal Dio, ma soprattutto indaga il proprio lato oscuro. Si veste da donna pur temendo che i Tebani lo vedano, cede alla propria follia. Non è una spia è un voyeur, vuole abbandonarsi al vizio e non vuole che altri lo sappiano Questa messa in scena delle Baccanti di Euripide, per la regia di Maurizio Carlo Luigi Vitale, e la traduzione di C. Diano (ed. BUR), ha inizio con il Prologo di Dioniso, il doppio, il nato due volte. Dapprima dal ventre di Semele mentre arde per la folgore di Zeus, successivamente dalla coscia del Dio. Sulla scena quindi due personaggi che indossano maschere simili per farsi riconoscere come unica entità e che poi svestiranno. I due volti di Dioniso, il Dio in forma di Uomo e il Dio vero proprio, una donna, il lato femmineo del Dio. Ai loro piedi le Baccanti che nella Parodo prendono vita, si animano e che resteranno in scena fino al quinto stasimo. Sono le baccanti che Penteo non può e non riesce a vedere. Negli Stasimi occupano la scena, danzano, raccontano. Ora Menadi ora Baccanti. Nel quinto episodio ad esempio, il Messaggero sono proprio due Baccanti. Penteo è morto, Agave è diretta a Tebe e sono le Baccanti che raccontano ad altre Baccanti della morte “dell’uomo senza giustizia” e piangono Penteo, ad affermare che le donne sono state soggiogate dal Dio e non sono divenute Baccanti per loro scelta. Tra le baccanti la Corifea, ora baccante, ora coscienza del Re, ora Menade. Persino il primo messaggero è una donna, a rappresentare che finché Dioniso è a Tebe, le donne, gli esseri scelti dal Nume perché più vicine agli Dei, sono al di sopra dei maschi. Pure la Guardia è una donna, una baccante che cela la propria identità dietro una maschera semplice. In entrambi i casi Penteo resta ingannato. Penteo vittima fin dall’inizio della magia della stessa Corifea, magia trasmessale da Dioniso, successivamente della forza di Dioniso Uomo nonché della seduzione e dell’incanto di Dioniso Dio. Penteo è perdente, soggiogato. Tenta di affermare la propria forza ma senza risultato. Cede allora alla tentazione di Dioniso, spiare le Menadi, e non per comprenderne la forza e la potenza guerriera, ma per “vedere senza essere visto”. Eccolo quindi in scena, nel quarto Episodio e nel quarto Stasimo, il suo trono trasformato dalle Baccanti in albero, mentre porta una maschera che lo muta in donna, si muove tra le baccanti che non vede, urla la propria morte, mima in una danza macabra il proprio squartamento. Dopo l’Esodo, che vede lo strazio di Cadmo e Agave, e Penteo il cui corpo è in un sacco e la testa, simulacro di gesso portata da sua madre, tutti i personaggi tornano in scena, prima e anche dopo la chiusa della Corifea, tutti gli attori prendono molto lentamente a struccarsi, a svestirsi dei panni del personaggio, il dramma è terminato, pian paino si abbandona sulla scena il proprio personaggio, si torna al presente. La scenografia comprende unicamente il trono di Penteo, che si trasformerà in albero, l’albero su cui lo stesso Penteo ha trovato la morte, e che il Dio usa, quando necessario, come praticabile per elevarsi al di sopra degli umani. Il trono poggia su dei bancali, ordinati e composti. Il trono simbolo del Classico, poggia su bancali nudi, simbolo del Contemporaneo. Le baccanti, come detto sempre sul palco, divengono quadro di fondo, sfondo della scena, presenza incombente. La messa in scena, volutamente classica, è fortemente contaminata dal Teatro Contemporaneo e pur privilegiando il testo Euripideo, vede l’azione scenica parimenti importante. Le danze e le corse delle baccanti, gli scontri fisici tra Penteo e gli altri personaggi, in questa messa in scena l’uso del corpo diventa azione, la fisicità scena. Le musiche, tutte registrate, sono ora sottofondi di musica elettronica, ora brani di antica musica Giapponese, ora brani di musica Greca dell’era classica. Atto unico di 100 minuti circa.